E' tutta colpa della legge n° 300 del 20 maggio 1970, elaborata da Gino Giugni, docente universario a capo di un comitato tecnico (questi professoroni, è sempre colpa loro!) organizzato da Giacomo Brodolini, sindacalista e politico del PSI.
Il PSI (quello di allora, caduto in malora col craxismo e rinato negli ultimi anni come paladino di laicità) era molto attivo sul tema dei diritti dei lavoratori, e prima della legge 300, furono approvate molte regolamentazioni su infortuni (legge 1124/1965), pensoni (legge 903/1965 e riforma Brodolini del 1969) e licenziamenti (legge 604/1966).
La legge 300 è da sempre indicata come "Statuto dei Diritti dei Lavoratori".
La dichiarazione del Presidente Monti, “Certe disposizioni dello Statuto dei lavoratori, ispirate dall’intento molto nobile di proteggere la parte più debole (il lavoratore), hanno contribuito a determinare un insufficiente creazione di posti di lavoro”, è l'incipit dell'eutanasia definitiva del Lavoro.
Cominciata con la riforma Treu, continuata con la legge 40 (non chiamatela legge Biagi, per carità, la bozza di Biagi era più organica ed umana, ndr), culminata con la riforma Fornero, e che dopo queste parole potrebbe davvero toccare l'apice (o il fondo, se vogliamo, ndr).
Se pensate che l'articolo 18 (che hanno anche tentato di scardinare definitivamente nel suo significato, monetizzando il lavoro, ne parlo qui, salvato dall'intervento del PD, che ha reintrodotto il reintegro, ndr) sia l'unica cosa meritevole e di garanzia, vi sbagliate, perchè sono molti i diritti che potrebbero essere attaccati e sminuiti: quelli sulla malattia, sulla dignità (come il divieto di predisporre strumenti audiovisi per il controllo dei lavoratori, art. 4), sulle libertà sindacali, ecc. ecc.
Non è lo Statuto il problema del dare lavoro, Presidente Monti, sono i tanti, troppi, lacci che imbrigliano la libertà e l'autodeterminazione personali, sotto i nomi di burocrazia, ordini, albi e collegi.
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