Le donne, come sappiamo, hanno la vita più difficile nel mondo del lavoro, specie al momento dell'assunzione. "Intende in futuro avere bambini?" è una domanda frequente in sede di colloquio con una candidata, una domanda imbarazzante, invasiva ed arrogante.
E' anche diffusa la pratica delle dimissioni in bianco, fatte firmare al momento dell'accettazione del contratto, così, qualora la ragazza rimanesse incinta, il datore disonesto poteva sguainare il modulo già vidimato dalla lavoratrice, compilarlo e darle il ben servito.
Per ovviare a questa piaga, il Governo Prodi del 2006 introdusse i moduli numerati, da richiedere direttamente on-line, così da non poter falsare gli atti di licenziamento. Fu un'idea a mio giudizio ottima, che tutelava le lavoratrici dai comportamenti scorretti dei capi; talmente ottima che la norma venne abrogata dal Governo Berlusconi salito in carica nel 2008.
Questa misura, però, non andava a correggere il problema di fondo, ossia le difficoltà nelle donne a trovare un posto di lavoro proprio per le titubanze del datore di lavoro al momento di assumere.
Per ovviare a questo aspetto, la Svezia ha avviato un programma di tutela dei diritti parentali, dal 1995 al 2005, superando queste perplessità, rendendole senza importanza. E lo ha fatto non depotenziando i diritti, ma estendendoli ad entrambi i genitori: lo stato scandinavo ha così introdotto le tredici mensilità di congedo da ripartirsi tra madre e padre.
Oltre a 10 giorni al momento del parto, 2 mesi sono obbligatori per entrambi, ed i restanti 11 possono essere a loro discrezione fruiti, anche frazionabili in ore, da uno e/o dall'altro.
Così facendo, si è raggiunto un equilibrio tra diritti di lavoratrici e lavoratori, tra maternità e paternità, rendendo ininfluente la variabile del sesso nella scelta dei datori di lavoro sulle nuove assunzione.
E' così sbagliato copiare dagli altri?
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