Ecco che le regole vacillano, e si rischia un arroccamento ancor più limitativo per la libertà d'informazione.
La storia viene da Enna, dove una giornalista è stata condannata a 20 giorni di carcere per essersi avvalsa del "segreto professionale" circa le sue fonti.
Giulia Martorana, 51 anni, è una collaboratrice dell'agenzia Agi e del quotidiano La Sicilia, ma è una pubblicista; ossia, secondo la legge italiana, svolge attività giornalistica non occasionale e retribuita ma che esercita altre professioni o impieghi (legge 69/1963, art. 1, IV comma) a differenza del giornalista professionista "che esercita in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista".
Apro una parentesi, perchè ci tengo a sottolineare che nella pagina relativa al percorso professionale del famigerato Ordine dei Giornalisti non si fa menzione di 'altre occupazioni o impieghi', ma ci si trova rimandati a corsi autorizzati, praticantati presso redazioni ed esami di idoneità.
Sia chiaro che il giudice monocratico di Enna che ha emesso la sentenza ha solo applicato la legge, contro la quale ora insorgono FNSI ed Assostampa "sentenza ingiusta e incomprensibile che ripropone il problema di una urgente e non più rinviabile riforma della legge istitutiva dell'Ordine dei giornalisti, che oggi non è più in grado di rappresentare correttamente la realtà della professione".
Amareggiata ed incredula, la stessa Giulia riconosce che "il giudice ha applicato, se pure con molto rigore, una norma che non consente ai giornalisti pubblicisti di avvalersi del segreto professionale. Spero che questa vicenda serva a far aprire un dibattito sull'etica del giornalista e sulla sua tutela estendendo il segreto professionale anche ai pubblicisti che sono la categoria grazie alla quale, ogni giorno escono i quotidiani in tutta Italia".
Mi ero già espresso sul ruolo mediaticamente censoreo e liberticida dell'Ordine dei Giornalisti (qui), nonchè corporativo e lobbista economicamente. La situazione appena raccontata mette in evidenza un altro profondo limite di quest'istituzione, che crea al suo stesso interno un'altra casta ancor più elitaria.
Il giudizio e la concessione di diritti per i giornalisti non deve avvenire per "chi si è" o "per la qualifica che si ha", ma per "cosa si fa", ossia si informa e si contribuisce alla crescita civile. Poi, chiaramente, il magistrato ha tutto il diritto di chiederne le fonti, ed il giornalista ritengo dovrebbe avere l'obbligo di rivelarle, seppur in via confidenziale.
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