di Leonardo Maga
Dopo le vittorie di Pisapia e De Magistris alle elezioni amministrative e il successo dei referendum abrogativi del 12 e 13 giugno, una pletora di giornalisti ed opinionisti si è subito affrettata a scrivere articoli dove decantare i grandi meriti del Web 2.0, molto spesso dopo averne completamente ignorato il peso durante la campagna elettorale e referendaria, fallendo di conseguenza completamente le previsioni sugli esiti. Non utilizzerò, però, questo articolo per decantare le mie doti divinatorie nel pronosticare il superamento del 55% sia nei consensi dell'avvocato milanese al ballottaggio sia nell'affluenza alle urne referendarie, perchè in fondo bastava aprire Facebook per notare come molti utenti, in una logica quasi bipartisan, usassero tutti gli strumenti concessi dal social network per tirare la volata ai due candidati progressisti e, successivamente, per propagandare le ragioni dei sì ai referendum. Non utilizzerò, fra l'altro, questo articolo neanche per limitarmi a constatare l'efficacia dei blog e dei social network in campagna elettorale, altrimenti sarebbe più comodo rimandare a cinquanta altri papielli simili presenti in rete. Vorrei più che altro dimostrare come il Web 2.0 ha la forza di poter scardinare completamente il castello mediatico su cui si è retta la telecrazia berlusconiana. Non si può dimenticare la passata appartenenza del Presidente del Consiglio alla loggia P2, famosa per aver stilato il Piano di Rinascita Democratica, un piano eversivo mirante, in particolare, ad assoggettare i media al controllo del Governo per distorcere la realtà, indirizzando l'opinione pubblica e producendo consenso. Una volta “sceso in campo”, infatti, Berlusconi ha utilizzato i telegiornali delle sue reti, e progressivamente anche quelli RAI, per fornire notizie distorte o per imbottire gli ascoltatori di cronaca nera e rosa al fine di coartare il loro consenso e gettare fango sulle opposizioni. Questa forma di regime mediatico gli ha consentito, a parte brevi periodi, di detenere il potere per 17 anni, riuscendo a imbarbarire i costumi della società italiana, in quella che è una vera rivoluzione delle coscienze, e ad insabbiare i pur numerosi insuccessi dei suoi Governi. Il Piano di Rinascita Democratica, però, è un capolavoro di bavaglio all'informazione risalente agli anni 70, e quindi non può materialmente prendere in considerazione il Web come strumento di circolazione di notizie e conoscenza. Se anche lo comprendesse, fra l'altro, dovrebbe prendere coscienza del fatto che non può essere controllato nella sua vastità, se non con manovre da regime puro come quella cinese di oscurare Google, che però vanno contro l'obiettivo di mantenere formalmente attive le libertà fondamentali. Una dittatura strisciante attuata mediante il controllo dei media, quindi, non può avere successo se la cittadinanza ha libero accesso alla rete e al flusso costante di notizie, e ancor meno può avere successo in seguito all'affermazione del Web 2.0, cioè dei blog e dei social network, dove gli utenti oltre a poter accedere alle notizie possono anche contribuire con le proprie conoscenze instaurando dibattiti sulle varie tematiche e propagandando i propri ideali, riuscendo oltretutto a svelare piuttosto facilmente le pratiche di manipolazione della realtà attuate nei telegiornali. L'abbattimento del monopolio televisivo dell'informazione consente quindi di ottenere quella libertà di stampa da troppo tempo agognata nel nostro paese, facendo venir meno le fondamenta del regime della menzogna del nano di Arcore. Ed è solo l'inizio...
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