Proviamo ad immaginare un'esagerazione: liberalizziamo del tutto il commercio e la distribuzione (eccetto i servizi pubblici, la salute e l'istruzione, chiaramente). Si può fare ogni tipo di negozio, a qualsiasi distanza da un concorrente, si può aprire e tenere aperto ogni giorno e ad ogni ora si voglia.
Negozi di abbigliamento, edicole, farmacie, internet-point, ristoranti, tavole calde, erboristerie, giocattoli, alimentari, fruttivendoli, fornai, cartolerie, studi legali, bar, profumerie, distributori di carburanti, taxi, eccetera eccetera... tutto il commercio privato, insomma. Liberalizzato ogni tipo di licenza.
L'anima socialista che è in me sta urlando a squarciagola: "E I LAVORATORIIIII?!"
I Lavoratori li proteggi con uno steccato di diritti. Ad esempio stabilendo al massimo 8 ore di lavoro ogni 24, di cui non più di 6 continuative; paga maggiorata dalle 20 alle 7 del mattino successivo; malattia retribuita; ferie. Il grido si placa.
Un'altra vocina si leva, una donna vestita da infermiera. Liberalizzare non significa Deregolamentare; anzi, con l'aumento della Libertà devono aumentare Responsabilità e Selezione. Non consentire ad un tassista di fare il farmacista, ad esempio (se privo chiaramente dei requisiti necessari); e questo introduce un altro elemento importante, la formazione e la riqualificazione continua dei lavoratori.
Una signora impellicciata ha un'altra obiezione: se tutti aprono e chiudono quando vogliono, come fa lei a sapere dove può fare shopping? E' nell'interesse dei venditori incontrare le necessita dei clienti, per cui sarebbero loro stessi a fissare gli orari ed informare con un buon margine; poi, giustamente, si possono e devono fissare degli orari di garanzia, almeno per i servizi principali, leggi farmacie ed alimentari.
Credo che, magari dopo qualche anno di terremoto, nel senso di attività che aprono e chiudono in pochi mesi, schiacciate dalla concorrenza, il mercato si autoregolamenterebbe e differenzierebbe. Nel senso che nascerebbe un commercio diurno ed uno serale/notturno (quante volte ci rendiamo conto alla sera di non avere i biscotti per la colazione della mattina dopo? No problem, c'è l'alimentari notturno). Ed in più per sopravvivere dovrebbero specializzarsi, ad esempio dedicandosi al biologico, ai prodotti a km 0 o a quelli senza glutine.
Le piccole botteghe possono scovare prodotti e trattare flussi che i grandi centri commerciali non possono sostenere.
Ora, questa è un'iperbole degna di un anarcoliberista duro e puro (fatta eccezione per i servizi pubblici, che non vorrei in nessun caso venissero toccati), che costerebbe, come dicevo, la morte 'imprenditoraile' di tante persone, schiacciate dal libero mercato e dalla concorrenza, ma che premierebbe i veri commercianti, quelli che sanno sfruttare e giocare con il mercato. Campagne di fidelizzazione, servizi aggiuntivi (rivendite di pasta fresca che te la cucinano anche, o te la portano a casa, o ti regalano una posata per ogni porzione) spopolerebbero, in un mercato selvaggio dove ognuno cerca di scavarsi la propria nicchia e ricavarsi il proprio bacino di clienti.
Un'apocalisse liberale di queste proporzioni credo non avverrà mai nel nostro paese, imprigionato in un mercato provinciale, campanilista e corporativo.
E non credo neanche di auspicarla, questa rivoluzione, che però darebbe un vero scossone al mercato, lo rinnoverebbe facendolo uscire da un'immobilismo e da una chiusura ormai patologiche.
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