Quando si è vittima di un comportamento altrui, ad esempio di 'discriminazione', ci vuole poco a passare dal vittimismo giustificato a quello lagnoso e desolante, e sprofondare nell'arroganza. E' il caso di Lucia Annunziata, che ha scelto un paradosso incandescente per ribadire la sua posizione verso la libertà d'espressione.
Il tema era ancora una volta il pippone infinito inflittoci da Celentano sul palco dell'Ariston, un discorso che a mio parere conteneva anche degli spunti interessanti, ma che non può assolutamente trovarmi d'accordo quando arriva ad invocare la chiusura di due organi d'informazione (Avvenire e Famiglia Cristiana, ndr).
"Celentano ha il diritto di dire quello che vuole" sintetizza l'Annunziata "Lo avrei difeso anche se avesse detto che i gay devono andare nei campi di sterminio". E da qui, la tempesta.
Associazioni gay in trincea, mobilitazioni per chiedere le dimissioni della conduttrice, fiumi di inchiostro versato per contestare quelle parole che non sono altro che un evidente paradosso.
Nel voler estremizzare la libertà d'espressione, da sempre difesa, Lucia ha utilizzato un'iperbole con una cosa su cui lei per prima non è d'accordo, ma che Celentano, come tutti, deve poter avere il diritto di dire. Poi ovvio, nel caso in esempio entrano in ballo altre componenti assolutamente censurabili, quali la violenza, l'omofobia e l'apologia di fascismo, ma in tema di libertà di parola era chiaramente un paradosso.
Il vero problema è un altro, e spiego qui il mio punto di vista.
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