Metafora azzeccatissima quella del "sottoscala" di Antonio Di Pietro sugli accordi in corso tra Pd e Pdl per la riforma della legge elettorale.
Perchè, come già dicevo, a parole tutti sono contro il Porcellum, l'attuale sistema (anche chi l'ha approvato in Parlamento, l'ex-Casa delle Libertà: Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord, ndr), ma nei fatti esso dà alla partitocrazia (soprattutto alle formazioni più grandi) un potere smisurato: liste bloccate, sbarramento e premio di maggioranza.
Pochi giorni fa anche l'ex-Presidente del Consiglio era tornato sul tema, auspicando un innalzamento della soglia di sbarramento, che adesso è al 4%. Una misura di questo genere, però, non farebbe altro che accentrare ancor più il potere sui due maggiori partiti: quelli più piccoli, per poter sperare di eleggere qualche rappresentante, sarebbero costretti ad allearsi e ad appoggiare le scelte impostegli dai grandi.
Parecchio tempo fa, alla nascita di questo blog, avevo ripercorso le evoluzioni delle legge elettorale nella storia della Repubblica, mettendola in relazone con lo schiacciamento della democrazia rappresentativa (qui).
Nella situazione attuale, c'è anche un nuovo protagonista, il Terzo Polo, che, presentandosi come alternativa sia a Pd che a Pdl, si oppone anche ad una riforma che mantenga una visione bipolaristica; i partiti minori invece vorrebbero una nuova legge che vada in senso proporzionale, per preservare le loro quote di potere elettorale e parlamentare.
Ed è qui che il Pd si trova schiacciato, tra il desiderio proibito di azzerare la volontà delle formazioni minori, la tentazione di allearsi al Terzo Polo e le pressioni degli ex-alleati (o ideologicamente presunti tali). E anche qui avevo fatto la mia proposta (qui), perchè anche i democratici ormai sono stati inghiottiti dal gorgo del bigottismo/moderatismo filodemocristiano.
Preservare la governabilità del Paese, si dice, è l'obbiettivo. 'La rappresentatività', rispondono invece gli oppositori.
A mio parere, sono certamente importanti entrambe, ma se non avessimo una partitocrazia malata, in cui le ideologie politiche sono ridotte a tifoserie urlanti, i voti nelle aule parlamentari sono dati solo in virtù della provenienza di chi le propone, ed i politici fossero davvero seri e coerenti, non ci sarebbe neanche questa disfida. Solo in Italia, ad esempio, si può vedere il 'Più Grande Liberale dopo De Gasperi' opporsi alle liberalizzazioni del mercato (mi riferisco alle lenzuolate di Bersani del 2006, ndr).
Per come la vedo io, e come pare si stia orientando anche il confronto Pd-Pdl, fondamentale è reintrodurre le preferenze; poi loro parlano aulicamente di 'rapporto tra politica e territorio', io parlo più spiccio di 'sapere e scegliere chi mandare a rappresentarmi'.
Poi, l'unico sbarramento che potrei legittimare sarebbe un batteriologico 1% per impedire che un pugno di voti (ad esempio, di un comune campano, Ceppaloni) possa decidere le sorti del Paese.
Nessun premio di maggioranza, o al limite una dote 'relativa' di qualche punto alla coalizione prevalente, e non un 55% assoluto dei seggi per chi conquista più voti (com'è invece ora).
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