Un dossier del Sole24Ore svela come gran parte dei tagli ai costi della politica nelle amministrazioni locali siano rimasti sulla carta.
La "carta" è quella della manovra di Ferragosto, della legge 138/2011, che interveniva sulla composizione delle assemblee regionali e provinciali, con una riduzione complessiva dei consiglieri da 1.109 a 700. Le riduzioni dovevano arrivare entro il 13 febbraio, per andare a regime alla tornata amministrativa di maggio.
Ad oggi, le uniche regioni che si sono adeguate alle nuove norme sono Veneto (da 60 a 50 consiglieri) e Toscana (da 90 a 50), oltre a Lombardia ed Emilia Romagna che avevano i numeri in regola già da prima.
Come hanno evitato i tagli? Semplice, appellandosi all'autonomia riconosciuta loro dal (riformato) Titolo V della Costituzione; a loro è lasciata totale discrezionalità legisativa in materia di indennità, spese, rimborsi e previdenza.
"Un caso unico in Europa perché in genere è un soggetto terzo a disciplinare queste materie invece in Italia questa compentenza è risconosciuta in via eslusiva alle Regioni. Il risultato è che queste dovendo decidere per sé fanno quello che vogliono e lo Stato può emanare norme di carattere nazionale che per loro sono solo di indirizzo senza obbligo giuridico" spiega Angelo Rughetti, direttore generale dell'Anci.
A rimanere stritolati dai tagli imposti sono i Comuni, per cui gli atti del Governo hanno valore di legge. E così, con i Dl 78 e 138 si sono tagliate indennità e poltrone alle municipalità, sbilanciandone spesso la forza politica e richiedendo loro pesanti sacrifici.
Ma i comuni hanno effettivamente risparmiato? "Si, lo dice la Corte dei Conti. Nel 2010 la spesa per 8mila amministrazioni era di 70 miliardi, nel 2011 è scesa a 64,6" conferma Giovannini, presidente Istat chiamato ad analizzare le spese locali.
Nessun commento:
Posta un commento