Dopo essermi preso qualche insulto per un mio precedente articolo in cui sembrava divinizzassi la precarietà (qui), torno ad indossare il mantello rosso del socialismo ("se ve piace così" citando il duo Cruciani & Parenzo) per una riflessione sul tema del lavoro.
Attenti bene, quello che faccio è un semplice ragionamento logico, che credo andrebbe a vantaggio sia dei lavoratori che dei datori.
Mettiamo a confronto un posto di lavoro (non il lavoratore in concreto, ma la posizione e l'impiego disponibile) da operaio 'fisso' ed uno da operaio 'precario', in cui il dipendente chiamato a ricoprire l'incarico cambia ogni 6 mesi, ad esempio.
Il lavoratore, in entrambe le situazioni, per poter essere avviato alla sua mansione, deve essere prima istruito e preparato; poi quando ci avrà 'preso la mano', saprà operare in autonomia.
Ora, e ripeto che ragiono 'per logica', è meglio un lavoratore 'unico', che dev'essere istruito una volta, e poi è indipendente, o uno che ogni 6 mesi devi riprepararlo e riavviarlo al lavoro?
La risposta, chiaramente, è scontata.
E' quindi necessario capire che non sono la flessibilità o l'articolo 18 i nodi da sciogliere per una riforma del lavoro degna di questo nome, ma rientrano in quella fumosa dicitura chiamata 'costo del lavoro'. E' lì che bisogna intervenire, altro che libertà di licenziamento.
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